Il termine PIWI è un acronimo dal tedesco Pilzwiderstandfähig, letteralmente “viti resistenti alle malattie" in particolare ai funghi. Si tratta del risultato di molti incroci tra viti di varietà differenti e, talvolta, anche specie diverse che, dopo generazioni, portano alla selezione di piante resistenti, con cui si produce vino di qualità. L’obiettivo dichiarato è la lotta alle malattie di natura fungina, come oidio e peronospora, una croce per ogni agricoltore. contrastate grazie a un patrimonio genetico tale da permettere un’efficace risposta difensiva.
La PIWI International, associazione che tutela questa nuova e moderna frontiera vitivinicola, ha registrato ad oggi oltre 150 tipologie di viti. Tra le principali viti resistenti alle malattie fungine ricordiamo:
I vini PIWI sono particolarmente diffusi in Germania e nei paesi dell’arco alpino, con una particolare concentrazione in Austria, Svizzera e Italia, dove si sono rivelate necessarie per sopperire alle condizioni ambientali avverse. Oggi il Trentino-Alto Adige rappresenta uno dei primi incubatori italiani e un punto di riferimento mondiale per la produzione di PIWI di qualità, grazie a diversi produttori che credono fermamente nei PIWI e riversano impegno e speranze nel progetto. Altra regione all’avanguardia sulla coltivazione di vitigni PIWI è il Veneto. Oltre all’Italia, inoltre, i vitigni resistenti, potrebbero aprire nuove frontiere per la viticoltura grazie alla loro resilienza intrinseca: grazie a questa troviamo PIWI persino in Scandinavia e in Nepal!
I PIWI sono nati grazie a ricerche iniziate oltre un secolo fa, mirate a combattere le principali minacce per la vite. Verso la metà del’800 arrivarono dall’America alcune grandi calamità: l’afide fillossera e i parassiti fungini peronospora e oidio devastarono il patrimonio vitato europeo, creando danni irreversibili. Si cercò da subito di arginare il disastro, e la soluzione ottimale si trovò nell’innesto, la saldatura di un ramo vite europea con la parte radicale di vite americana, resistente a questi patogeni.
Nonostante esistano ancora le cosiddette viti a piede franco, ovvero non innestate su piede americano come quelle sull’Etna e a Pantelleria, l’innesto è ancora oggi la pratica agrotecnica difensiva più diffusa, base di quasi tutta la produzione vitata.
Questa soluzione, però, non fu totalmente efficace nel mettere a riparo la vite dalle avversità fungine. L’uso di sostanze come rame e zolfo fu la prima soluzione trovata per contrastare queste minacce, tuttavia non senza controindicazioni. Pertanto, negli anni ‘30 si iniziò a sperimentare la tecnica dell’ibridazione, incrociando viti europee e americane. Con le moderne strumentazioni è stato possibile isolare con efficienza le qualità genetiche resistenti di una pianta, e fare in modo che si presentassero nuovamente nell’ibridazione successiva. Nacquero numerosi ibridi che, incrociati tra loro per generazioni, diedero vita ai primi vitigni PIWI, resistenti alla peronospora e allo oidio.
I PIWI, oltre alle suddette capacità di resistenza, hanno altri lati positivi. Secondo dati Eurostat, la vite è la coltura maggiormente soggetta a trattamenti fitosanitari. I PIWI, in quanto varietà resistenti, necessitano di un inferiore quantitativo degli stessi e sono una risposta diretta a questa problematica, inquinando meno l’ambiente circostante e il prodotto finale. Inoltre, hanno mediamente bisogno di meno acqua, la coltivazione ha costi inferiori e si adattano più facilmente alle condizioni derivanti dal cambiamento climatico: anche per questo molti produttori attenti alla sostenibilità hanno deciso di adottare questi vitigni.
Non tutti sono d’accordo. Se da un lato del ring abbiamo i sostenitori dei PIWI, dall’altro angolo insorgono i puristi del vino artigianale, che vedono la pratica legata alla creazione di vini PIWI come un allontanamento dalle pratiche tradizionali e un limite per la preservazione della biodiversità, con un conseguente impoverimento culturale e biologico della viticoltura. Un’altra critica è legata al meccanismo intrinseco di selezione dei PIWI. Con questo metodo si vanno a selezionare principalmente geni dominanti. Un potenziale problema perché, qualora si scopra che possano apportare caratteristiche problematiche, sarebbero difficili da rimuovere.
Fonte: PIWI International